Eccellenze di casa nostra: dal Senatore Cappelli parte la riscossa del grano all’italiana

Senatore Cappelli Duce Battaglia del granoQualche tempo fa avevamo già parlato del grano Senatore Cappelli in questo articolo. È di qualche giorno fa un articolo di Carlo Cambi scritto su La Verità, che vogliamo qui riportare.

Dal Senatore Cappelli parte la riscossa del grano all’italiana.

Boom della varietà antica con 2,5 milioni di chili. Industria e produttori stranieri la osteggiano: non vogliono concorrenza.

Preparatevi ad un’altra battaglia del grano. Nazareno Strampelli, genetista nato a Crispiero, una frazione di Castelraimondo nel maceratese, la sua la fece per conto del duce e la vinse raddoppiando il grano prodotto in Italia. Questo gli costò l’oblio. Ora però lui che è stato, anche grazie alla moglie Carlotta Paesani, pronipote di Napoleone, che materialmente selezionò le piante e se ne prese cura – il più significativo genetista del Novecento in campo agricolo, si gode una tardiva e largamente postuma firma (è morto nel 1942).

L’ha sancita Coldiretti, che in un comunicato fa sapere: “al compimento dei settant’anni la SISLA, società delle sementi italiane di proprietà dei coltivatori, ha vinto il bando del CREA, centro per la ricerca della cerealicoltura di Foggia. Ha ottenenuto per 15 anni l’esclusiva della riproduzione e certificazione del grano duro Senatore Cappelli dalla semina alla tavola. Con 1000 ettari coltivati nel 2016, il Senatore Cappelli è stato il grano duro antico più seminato in Italia, con la produzione che ha raggiunto 2,5 milioni di chili e 2017, raddoppiata rispetto all’anno precedente”.

Farinetti sostiene i pastai nazionali, che comprano il cereale all’estero

Per la verità, anche se centenario, il Senatore Cappelli non è un grano antico e non è propriamente italiano. È però uno dei grani di Strampelli (ne ibridò oltre 800 senza brevettarne mai uno e senza arricchirsi). Lo ottenne da una spiga tunisina di Jenah Rhetifah. Per selezione genetica, nei terreni che a Foggia gli aveva messo a disposizione a partire dal 1907 Raffaele Cappelli. Il “Senatore”, nonostante fosse soggetto ad allettamento (quando le spighe si coricano), ebbe enorme fama e oltre il 60% della superficie coltivata a grano duro in Italia era seminata con questa cultivar.

Poi arrivò il Creso, da Cappelli bombardato con atomi per accorciarne le spighe. Arrivarono i grani russi, americani, canadesi, compreso il Kamut che è un grano africano brevettato da un americano diventato stra-ricco. In Italia esistono almeno un’altra decina di grani con le medesime, se non superiori, caratteristiche che nessuno conosce e compra.

L’obbligo in etichetta dell’origine del grano

Oggi resuscitare il Cappelli è cosa buona e giusta. Rischia però di essere solo moda se non si mettono le cose in chiaro. L’Italia ha fatto di tutto per distruggere la sua cerealicoltura. Tardivo è il provvedimento del ministro Maurizio Martina per l’obbligo in etichetta di origine del grano, osteggiato dei colossi della pasta. Hanno ormai ridotto gli agricoltori a nuovi servi della gleba. Con il benestare di una certa sinistra di potere e di governo. Resta clamorosa la dichiarazione di un tal Natale Farinetti, detto Oscar, ex venditore di lavatrici. Avendo inventato un supermercato chic come Eataly, si è lanciato nel dire che i grani italiani sono peggiori di quelli che si comprano in Canada, in America.

Sia detto per inciso: Farinetti possiede il pastificio Afeltra. Da sempre sta dalla parte degli industriali pastai, che fanno di tutto per evitare di scrivere la provenienza del grano in etichetta. Sapete perché? Perché se va bene un contadino italiano per 1 kg di grano duro di altissima qualità prende dall’industria 27 centesimi. Ma se si fa la pasta da solo con un grano antico la vende a 4 euro e fa concorrenza a loro!

Le nostre tipologie di grano sono migliori di quelle straniere, piene di glifosato

I lobbisti che stanno investendo in questo settore continuano a sostenere che ci sono troppi pastifici (avete capito l’antifona? Non coltivate i grani antichi, non fate la pasta nel pastificio artigianale!). Sostengono inoltre che i nostri grani sono meno proteici di quelli d’importazione. Siccome il prezzo lo fanno le proteine, è giusto che il grano italiano costi meno.

Le multinazionali sono contro lo sviluppo di varietà alternative

A sostenere queste affermazioni sono quelli della Cargill, della Monsanto, della Syngenta. Vuol dire montagne di miliardi americani, tedeschi e cinesi. La verità è un’altra: i grani italiani sono quelli con meno carica glutinica, dunque più digeribili. Richiedono però più perizia nel lavorare la pasta. Italiani non sono solo il Senatore Cappelli, ma si chiamano Turanico, Saragolla, Tumminia per stare tra i duri e poi Gentil Rosso, Jervicella, Solina per stare tra i teneri. Grani che per definizione sono antiglobali. Che sono un atto d’accusa contro l’Europa. E anche una denuncia della debolezza della politica agricola italiana, che impedisce lo scambio di semi e impone che siano certificati. Così si fa un gran regalo alle multinazionali delle sementi.

La rivincita di Strampelli

Ma Strampelli si prende la rivincita. Sulla sua casa natale a Crispiero è posta una lapide con scritto: “Qui nacque l’uomo che da una spiga di grano ne fece due“. Oggi la disputa è tra questi grani e quelli che vengono dall’estero: pieni di glifosato, che possono essere attaccati da alfatossine. Che hanno tanto glutine da stendere un elefante. Si coltivano con cento Caterpillar messi in fila, con gli elicotteri che spargono pesticidi e concimi chimici. Ma, secondo la gauche caviar alla Farinetti, sono migliori di quelli italiani. Mai provato uno spaghetto di Turanico di Mancini, uno di Verrigni, di Latini, di Martelli, o di Cocco, o del pastificio del Chianti di Fabbri, o di de Luca? O anche un Dedicato di Granoro, o di Sgambaro, di Setaro, di Felicetti?

Provare per credere

Nella nuova battaglia del grano da una parte c’è chi strizza l’occhio e si arricchisce con la globalizzazione. Ci fanno credere che esiste “una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa”. Dall’altra c’è chi, come Strampelli, pensa che il mondo dipende dai contadini.

Dunque tanto di Cappelli al grano italiano!

By | 2017-06-07T14:15:25+02:00 Giugno 7th, 2017|Pasta & Riso|0 Commenti

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